10.21.2007

prima di chiudere gli occhi, dopo averli aperti

1.
Ho dato da fare questo a edo. Stasera ci siamo visti e gli ho chiesto di scriverlo. Non perché lui sia bravo, ma perché bisogna ricordarlo. Come quelli che scrivono i loro sogni su un quaderno pieno nascosto sotto il materasso, sotto il cuscino, sotto la luce della vita di oggi, di domani.

Resta tutto impresso sui fogli. Anche quello che dimentichiamo nelle ore, negli anni, rimane impigliato tra le righe dei quaderni, nella carne delle fotografie. Tutte le fotografie.
Polaroid
Nel computer
Sfocate
Attaccate al muro
Nel portafoglio
Nell’album con su disegnato paperino

E ci ricordiamo nel nostro desiderio morboso di ricordare, tutte le cose belle e orribili e insignificanti. Cose da raccontare e da raccontarsi,
ora e ancora per sempre. (un occhio sui tatuaggi).

Il desiderio di catturare gli odori ormai spruzzati via da altri odori che poi un grosso deodorante Intesa disperderà e renderà lontanissimi e irraggiungibili. Il desiderio mio tuo suo. E la paura di dimenticare ogni piccola cosa. La paura soffocata dai nostri racconti, che poi ritorna per farci ombra.
“le imprese sono troppo impegnative”
“non si vive rincorrendo le imprese”
“si vive raccontando il superfluo, l’insignificante”
“ci inventiamo sempre un sacco di cose buone, giuste”
(già).

Il superfluo delle nostre vite è lo sfondo vuoto sul quale inventiamo tutte le imprese insignificanti che ci spingeranno poi a ricordare noi stessi attraverso le parole. Ma questo non vuol dire niente, questa frase non vuol dire niente.

Tutte le cose buone, tutte le cose cattive, tutte le cose inutili.
(non ci resta che raccontare tutto quanto).

Il racconto nudo se ne sta su per conto suo. Lampeggia.
(Per ricordarci il sollievo di scoprire di non esserci dimenticati ieri).
Regge tutte le botte e i cazzotti della vita. Perde tutti gli incontri ai punti, sempre,
torna a casa coperto di sangue ed ematomi. (intanto tutti dormono).

Un racconto mi ha accarezzato.
Un racconto mi ha strappato le braccia.
Un racconto mi ha abbracciato e fuori faceva un gran freddo.


Perciò vado a dormire. Mi sveglio dopo cinquant’anni. E mi ricordo l’ultima cosa alla quale avevo pensato prima di addormentarmi. (Ero così stanca che ho potuto scegliere).
Ricordo di aver pensato “domani mattina devo ricordarmi quello che sto pensando”.

2.
Ieri ero stanca. Una giornata lunga e faticosa mi spintonava verso il letto ancora freddo e io avevo finito tutto. Mi infilavo sotto tutte e sei le coperte, mentre le palpebre mi cadevano sugli occhi e pensavo che avrei dovuto tenerle su con le dita, per vedere tutto il sonno trasformarsi in cotone, ovatta e poi ancora in sonno.
Non potevo fare a meno di sorridere. Sarei restata rannicchiata in quella posizione
per sempre.

Mi venne da pensare al contenuto dei miei pensieri imbottigliati sotto un tappo a vite colorato molto attraente. Nascosi tutto il barattolo in una tasca del pigiama.
Posso controllare il sonno” pensai. Non avevo bisogno di rompere o aprire o sbirciare dentro.

Un giorno o l’altro mi trasferirò su Marte e cambierà tutto quanto, mica il solito... Decido io quando sono fuori da oggi…
E quando sono lì in mezzo le regole cambiano, belli. Qui non è oggi…
Sono fuori dal mondo, proprio a metà tra oggi e domani. Eh, eh.
ma non conosco le regole nuove. Che peccato…
Ma il teatro sarà pur servito a qualcosa, no? Bisogna improvvisare, qua… Posso capire qual è il momento esatto in cui mi addormento. Questo è quello che devo fare…
Sono magica
!”

Ero curiosa, ero stanca. “Questo non capita spesso, capita magari una sola volta nella vita”, pensavo. Come l’eclissi totale di sole. Se te la perdi, addio.
E allora.
L’ultimo animaletto sfocato, prima di chiudere gli occhi. (Non importa quale).
L'ultima bomba H. Dove.
L'ultimo cioccolatino sul vassoio. L'ultimo gorilla bianco.
L'ultima frase
Devo pensare ancora a un’ultima cosa. E poi ricordarmela, domani”.
Dovevo ricordarmela. Non pensavo ad altro

(...)
Ce l’ho fatta!”
è stata la prima cosa che ho capito, nel letto caldo di questa mattina. Dopo aver aperto gli occhi.

3.
Siamo seduti in macchina. L mi ha appena detto che l’ultima cosa che ha pensato ieri notte prima di addormentarsi è stata “domani mattina devo ricordarmi l’ultima cosa che penso stanotte”. Ridiamo un po’ e io la guardo con gli occhi sottili coprendomi la bocca col palmo della mano destra. Lei ha gli occhi grandi e sorride, mentre prova a spiegarsi. Poi mi chiede di scriverle un racconto sul suo ricordo pre- sonno e io sono contento, perché credo che mi sia stato appena fatto un complimento. Penso che non ho nessuna idea sul come scrivere una cosa del genere.
“va bene”, rispondo.