12.27.2007

heart cooks brain

-non puoi guardare la tua ombra da un altro punto di vista-
(mi suggerisce dio mentre col cucchiaino sbatto tre tuorli in una tazza gialla)
-è per questo che ogni opinione è sbagliata-

penso che abbia ragione.

vedo una cimice passeggiare nel deserto e la ribalto sul dorso. resto in piedi davanti a lei per quattro giorni, poi lei smette di dimenarsi. è secca.
continuo a fissare
la scollatura di dio.

12.26.2007

zapatisti nel paradiso dei polsi

bagna caoda -o bagna caùda o bagna cabzda-
tipico piatto piemontese con salsina calda a base di
acciughe (da notare che in piemonte non c'è mare) olio e panna talvolta.
ci si pucciano verdure crude fino a svenire ubriachi.

il giorno di santo stefano laico.

questione di identità culturale?
le radici nel terreno?
e riscoperta della tradizione?
piemontefolk digestione rapida?
"oh che bella la nostra terra piena di squisite delizie"?

no, c'è la nebbia e il tempo implode.
no, queste cose non attecchiscono un gran che se sei al terzo anno di antropologia. il fatto che le acciughe non vengano su bene in lago e che il piemonte non produca mare significa molto, nell'ordine della costruzione delle tradizioni locali.
(il processo di globalizzazione non è solo shell + schiavi colorati)
dobbiamo rovesciare bene tutte le nostre tasche.

buon appetito

1. sedano s.v. non pervenuto
2. barbabietola s.v. non pervenuta (se non quando ha macchiato un lato della patata)
3. finocchio voto 4 verdura irrecuperabile
4. patata voto 6,5 già ottima di per sè. l'acciuga non la slancia
5. belga voto 7 l'acciuga esalta le verdure insipide e croccanti
6. cavolo voto 7+ l'acciuga esalta verdure insipide e croccanti migliori della belga
7. peperone voto 8 trallallà -la lalà!
9. cavolfiore voto 9 verdura inutile altrimenti. divino con l'acciuga pannificata

okay.

12.21.2007

racconto di fate sul cemento

Max. Max aveva iniziato a spacciare al liceo per questioni di emancipazione e mobilità sociale, dicevano i sociologi. Di soldi ne aveva pochi, ma non gli fregava. Era un tipo paffutello, Max e alle compagne non piaceva. (Di questo gli fregava molto invece). Non piaceva a Marlene, la brunetta che se ne stava sempre con i suoi amici alternativi mezzi orchi e mezzi punk a fumare sotto le scale antincendio. Non piaceva a nessuno, Max. e portava i capelli unti con la riga nel mezzo.
“vattene”, gli dicevano.
Da quando Max si mise a vendere erba le cose cambiarono.
Marlene lo cercava.
Tutti quanti lo cercavano. Stava meglio ora, Max. Meglio. Aveva iniziato ad esplorare l’esterno del suo guscio pesante incontrando parole buone qua e là.
E fiori e quadri e le spine velenose.

La sua casa era piccola e gialla e aveva un grosso baffo Nike inciso sulla facciata sotto una voragine bianca d’intonaco scrostato. Max la odiava, la sua casa, ma lei era anche
il suo scudo e riparo dalla neve, dalla gente cattiva coi denti forti che abusava. (Il male che si nascondeva in qualcuno era il male che sentiva pesare sulle sue spalle.
E piangeva, di tanto in tanto).
Stava meglio “perché le cose erano finalmente cambiate”, dicevano gli dei. Invece no, non cambiava niente, se non le nuove possibili combinazioni di sogni opachi da riordinare la mattina nel letto sfatto.
Sapeva che Marlene aveva degli occhi favolosi.
(anche se il loro colore virava a seconda della posizione del sole o dell’umore e lei veniva riflessa ogni volta con una luce diversa, lui sapeva che la amava).

Vennero scattate molte foto, in quel periodo.
Max fuori dall’aula di Marlene che guarda dentro.
Max dietro a Marlene nel corridoio.
Max che aspetta Marlene nell’atrio alla fine delle lezioni.
Max che sogna Marlene e rotola.
Max che sistema l’erba per Marlene nel marsupio.
Max che aspetta Marlene.
Max che aspetta Marlene.

Col passare degli anni del liceo svanì l’abitudine della marijuana e Max iniziò a procurare occasionalmente dei minuscoli cartoncini a tutti.
Gli acidi andavano forte, tra i psycho -punk psichedelici. Ne aveva una ricca scorta e la teneva divisa nelle varie scatole dei sandali della madre. Tutti si chiedevano da dove venisse, ma nessuno lo sapeva veramente. Svendeva e poi svendeva e poi regalava e svendeva e aspettava.

Max che si guarda nello specchio.
Max che sistema i cartoncini per Marlene nel marsupio.

Era insospettabile.
Indossava sempre uno dei suoi golfini pallidi firmati. Quello giallo o quello azzurrino.
Non si pettinava più prima di uscire, ma si schiacciava con cura tutti i brufoli gialli.
I prezzi li teneva bassi per tutti, perché a lui non importava dei soldi, a Max importava di lei. Lei che neanche gli chiedeva, che neanche lo guardava, che al massimo gli faceva un sorriso. O un saluto. O il sorriso o il saluto. (Non bisogna esagerare quando piaci a qualcuno).
Max non si faceva nemmeno, con la sua roba. A lui non andava di uscire da se. Voleva essere felice veramente, non voleva vedere le cose venir fuori dai muri e poi stare male e poi stare male di nuovo.
E allora aspettava l’appuntamento del giovedì sera impomatandosi il capo.
E aspettava ancora.
Ormai da un anno sopravviveva nell’attesa di una pillola settimanale di Marlene. Ricordava e sognava. Il giovedì sera a camminare intorno ai pesci rossi morti a pancia in su nel mezzo del parco. Lei che non era neanche la più bella di tutte, ma.
Gli regalava un cartoncino ogni tre, a Marlene. (Come faceva quel giordano vicino al parco coi kebab, crudi).
Poi.
Quando Joshua si era messo in testa di farla smettere, lei aveva iniziato a smettere e per Max la vita era diventata sottile. Iniziò a pregare e ad ascoltare il best of dei Culture Club ogni giorno, per ore, seduto in macchina. Gli si era gonfiato il viso a dismisura, e faceva fatica a parlare. Dopo poche settimane aveva perso sei chili e si sentiva come se avesse ingoiato un pompelmo intero. Bloccato nella bocca del suo stomaco. Il pompelmo e le malattie psicosomatiche. Le malattie psicosomatiche e il pompelmo.
Sospeso a testa in giù nell’esofago, i suoi piedi penzolavano.

Un martedì sera camminava in cerchio tra le mura del parco vuoto, pensando a Marlene e al senso di colpa stampato sul suo viso l’ultima volta. L’ultimo acido e l’ultimo sorriso, molti cartoncini prima. Pensò ad una poesia di Ferlinghetti e ad alcuni animali morti arenati nel catrame.
Joshua aveva sporcato il loro rapporto e aveva rovinato tutto.
L’aria correva e spaccava i muri, quando non riusciva ad evitarli. L’erba era umida per via della pioggia del pomeriggio e Max faticava a stare sui suoi piedi. Il perimetro del parco era nero e non si distinguevano i contorni degli alberi vicini alle mura alte del parco. Due. Solo un ciliegio storto e un melo e qualche cespuglio basso secco.
Sentì le foglie muoversi e raschiare tra loro producendo un suono dritto e continuo.
Pensò al vento e sorrise in direzione del melo.
Rimase sorpreso spaventato inorridito terrorizzato quando
vide un serpente enorme strisciare giù e penzolare da un ramo basso. Indietreggiò. Aveva gli occhi scuri che lo fissavano nel centro dei suoi occhi piccoli minuscoli castani. Il manto nero brillava, come qualche anno fa.
-ragazzino- lo chiamò il serpente. Max indietreggiò ancora fino a sbattere la nuca contro il palo di un lampione. –credi veramente che cambierà mai qualcosa?-
-io…-
-tu la vedi, poi la guardi, e ti accontenti di non sapere niente di lei, Marlene.
rinunci a tutto.
Per un sorriso, solo per quello-
Max lo ascoltava rapito da quella sua voce baritonale polifonica.
-poi qualcos’altro si mette in mezzo e ti toglie il tappeto e tu sei giù. A terra.
Credi che cambierà mai qualcosa?- lo incalza il serpente.
-io non lo so- rispose Max senza voce.
-no- lo interruppe -perché hai addosso quel golfino e tutte quelle croste in faccia. Perché non sai dire una parola. e nessuno parla con chi non sa parlare-
il serpente tacque per qualche secondo poi riprese a parlare –devi difenderti-
Cadde un’armatura di latta dall’albero.
Cadde pesantemente una spada di ferro vicino ai piedi di Max.
Il serpente si ritirò ruotando attorno al ramo più grosso.

Max si ricordava bene di lui. Era il serpente che gli aveva procurato il fattorino con l’erba e gli acidi. Ma adesso voleva che Max li facesse tutti a pezzi. Marlene, Joshua e i loro amici strani. Tutti quanti a pezzi.

Max tornò a casa e provò l’armatura. Calzava perfetta. E brillava d’argento.
Il mercoledì rimase a casa con indosso l’armatura e lucidò la spada tutto il pomeriggio.

Giovedì.
Conati di vomito.
Conati di vomito.
Sangue dal naso a fiotti. Una cascata.
Si incise sulla pancia con il coltello per il formaggio.
Non sapeva di preciso come sentirsi, come definire i fatti di quei giorni. Non sapeva cos’avrebbe fatto, ma non sapeva neanche quale male migliore lasciar appartenere al suo mondo. Voleva tutto e non riusciva ad afferrare le maniglie. Il male degli altri e il suo erano diversi, certo. Ma ai suoi occhi godevano entrambi degli stessi privilegi. Ai suoi occhi il male non aveva più alcun peso, e tutto era diventato piccolo e minuscolo. Un posto più alto in cui vivere, questo gli serviva. Aveva tagliato il cordone e si stava velocemente allontanando dal mondo a bordo di un’enorme mongolfiera. Il suo punto di vista era sempre più distante da quello degli altri, sempre più vicino a quello di Dio. Quando vide Marlene nascosta nel parco aveva la spada nella mano. Pensò al serpente nero e strinse forte l’impugnatura, mentre notò stupito che la ragazza non lo stava guardando, non lo stava guardando.
(Non stava guardando la sua armatura argentata, non stava guardando la sua spada lucida, non stava guardando la luce che il suo complesso d’argento stava riflettendo nel blu di quella notte gelida).

Fu in quel momento che vide le fate.

Seguendo lo sguardo rotondo di Marlene.
Erano molto colorate e molto piccole. Non riusciva a distinguere bene i loro lineamenti, ma erano dolci, dolcissimi. Sembravano fatte di seta. Di una seta leggera. Danzavano in cerchio attorno alla fontana e ridevano di gusto mostrando i dentini. Brillavano ancora più dell’armatura d’argento e si muovevano velocissime scambiandosi le luci.
Le vide danzare, le vide svanire.

Qualcosa si spezzò, dentro Max.
-ciao. Le hai viste anche tu?- le chiese stranita Marlene, all’improvviso di fronte a lui.
-s- sì-.
-e tu cosa ci fai vestito così? Cosa sta succedendo, stasera?- si guardò intorno.
-n- niente, credo- rispose Max lasciando cadere a terra la spada.

Max non aveva previsto sorrisi, fate, balli di gruppo, colori sgargianti.
Doveva essere tutto diverso, pensava. Doveva essere pieno zeppo d’odio. Tutto nero.
Ma qualcosa in lui si schiuse.
Aveva capito che il suo rapporto con le persone, che il suo rapporto con Marlene era continuamente innaffiato dalle cose che succedono. Lo sarebbe stato per sempre. Cose che non appartenevano a loro. Cose che lo avrebbero spinto da lì all’eternità su una barca senza vele e senza remi. E la distruzione avrebbe trascinato tutto giù, nell’abisso delle cose orribili.
Tutto quanto sepolto.
Giù.
Senza fate e senza niente di condiviso. Nient’altro che niente.

Vennero scattate molte altre foto, in quel periodo. (autoscatti).
Il sorriso di Max e ogni sua ferita non rimarginata.

12.09.2007

daniele luttazzi vs. snakes on a plane

la chiusura di decameron (luttazzi) mi fa pensare che dall'italia bisognerebbe andarsene. oggi. come vigliacchi. bisognerebbe calarsi i pantaloni e cagare nelle piazze. in tutte le piazze.
e poi andarsene. oggi.
sputando per terra
(la vostra terra),
che è solo terra.

IN UN PAESE DEMOCRATICO
può
un'opinione
diventare
cultura egemone
e
strozzare o
violentare
ogni
altra
opinione
?

certo.

OTTIMISMO (a 21 anni)
preso atto che il paese è una curva che cresce lontana lontana dall'asintoto democratico, non si può chiudere un (altro) programma con un pretesto, quando non si capisce nemmeno il pretesto stesso.

P.S. (odio i post script. nei post, è ridondante)
il post precedente è una coincidenza. non rivolgetevi a me per anticipazioni varie sulle vostre vite.

anche se nelle budella dei piccioni morti leggo un sacco di cose interessanti.

12.05.2007

polifemo e la papirologia

POLIFEMO.
io mi sento escluso, mi dicono.
la democrazia è censura?
-la democrazia è anche censura, certo.
POLIFEMO.
perchè?
-per tutelare la democrazia.
POLIFEMO.
voi cosa state facendo?
-stiamo facendo girare i cerchi. (è la piazza globale). e senza più porfido in terra, e senza più prati, perchè hanno asfaltato proprio tutto tutto. noi però stiamo facendo girare i cerchi.
tu sai perchè.
POLIFEMO.
perchè sono rotondi, fini. è difficile. perchè è divertente, immagino... ecco perchè.
-no, non c'entra.
è perchè siamo tutti in discesa.-

PARAGRAFODIFECIOVVEROCOSEINCUICREDO
(a lato)

1) "democrazia cristiana" non è un partito, è un ossimoro.
2) il relativismo culturale (invece) è un fatto, non un'opinione.

12.02.2007

TFF torino film festival

(conferenza con wim wenders).

non ho mai visto tanta gente
con gli occhiali da sole.